DIRITTO AD
ESSERE INFORMATI
La Cassazione
ribadisce l’obbligo per il sanitario di fornire una informazione specifica e
dettagliata
Nel ribadire quanto già espresso in precedenza, la Corte di Cassazione Civile, sezione III, con sentenza n. 18334 del 31 Luglio 2013, ha affermato che, il professionista sanitario ha l’obbligo di
fornire tutte le informazioni possibili al paziente in ordine alle cure
mediche o all’intervento chirurgico da effettuare, tanto è vero che deve sottoporre al paziente, perché lo
sottoscriva un modulo non generico, dal quale sia possibile desumere con
certezza l’ottenimento di dette informazioni: ne consegue che il
medico-chirurgo viene meno all’obbligo a suo carico, in ordine all’ottenimento
del cosiddetto “consenso informato”, ove non fornisca al paziente, in modo
completo ed esaustivo, tutte le
informazioni scientificamente possibili sull’intervento chirurgico, che intende
eseguire e soprattutto sul bilancio rischi/vantaggi dell’intervento ( Cass.,26
marzo 1981 n.1773).
È noto che ogni intervento chirurgico, in quanto incide sull’integrità
psicofisica del paziente, necessita del di lui consenso, reso all’esito di una
completa e corretta informazione riferita a tutte le fasi della prestazione
medica: diagnostica, clinica e post-operatoria.
In particolare, il medico è tenuto
ad informare il paziente dei possibili benefici del trattamento, delle modalità
dell’intervento, dell’eventuale possibilità di scelta tra cure diverse o fra
diverse tecniche operatorie, nonché dei rischi prevedibili di complicanze
postoperatorie.
Nei casi poi di intervento chirurgico o di altra terapia specialistica
invasiva, il consenso ha un oggetto più ampio, esteso non solo ai rischi
oggettivi e tecnici, ma anche alla concreta situazione ospedaliera, tale da consentire
al paziente di decidere sia se sottoporsi all’intervento sia se farlo in una
determinata struttura oppure in un’altra.
Come chiarito dalla Suprema Corte, il dovere di informazione è
funzionale al consapevole esercizio, da parte del paziente, del diritto, che la
stessa Corte Costituzionale a lui solo attribuisce (articoli 13 e 32, comma 2),
alla scelta di sottoporsi o meno all’intervento terapeutico (Cass., 6 ottobre
1997, n.9705).
In definitiva il consenso si
pone come condizione di liceità dell’intervento terapeutico, mentre la
necessaria e preliminare informazione da parte del medico è condizione di
validità del consenso medesimo.
L’omessa o
carente informazione, configura quindi una grave negligenza e fonda di per sé
una responsabilità del professionista,
anche se la prestazione sanitaria viene eseguita in concreto senza errori (Cass.,
08 luglio 1994, n. 6464).
Tale carenza di adeguata informazione costituisce
fonte di responsabilità autonoma, diversa dalla colpa medica in senso proprio.
Infatti, la mancata osservanza del dovere di
informazione assume rilievo non più in connessione con l’evento infausto, ma
quale antecedente causale dello stesso. La sua mancanza, infatti, lede i
diritti della personalità del paziente e più in particolare lede il suo diritto all’autodeterminazione in
ordine alla propria salute.
Quindi, dalla violazione dell’obbligazione
all’informativa deriva un danno
esistenziale, da intendersi come riparazione correlata alla privazione del
diritto alla scelta consapevole da parte della paziente. (ved. Trib,
Venezia 04/10/2004)
La necessità di un consenso informato discende direttamente dal
contratto di prestazione medica e non va in alcun modo confuso con il diritto ad
una prestazione medica esatta (esso, peraltro, trova oggi anche un esplicito
riscontro nella legislazione comunitaria derivata; in particolare l’art.1 della
legge 30 luglio 1998 n.281, in materia di diritti dei consumatori e degli
utenti, qualifica quali diritti fondamentali non solo il diritto alla salute in
generale, ma anche quello alla trasparenza nei rapporti con il professionista).
È stato chiarito, in giurisprudenza, che il consenso deve essere raccolto dai sanitari con
dichiarazione scritta, nella quale si faccia riferimento al trattamento
proposto, la documentazione relativa all’avvenuta informazione va poi
conservata nella cartella clinica. Ciò è
confortato dall’art.41 del codice deontologico per l’esercizio della
professione medica, il quale obbliga il sanitario all’uso di appositi moduli.
È pur vero che, secondo una parte della giurisprudenza (davvero poco
convincente) non è necessario che il consenso informato sia reso in forma
scritta, sebbene l’art. 41 del codice deontologico per l’esercizio della
professione medica obblighi il sanitario all’uso di appositi moduli, ma è
altrettanto indubbio che in mancanza di una dichiarazione sottoscritta, l’onere di fornire la prova dell’avvenuta
prestazione del consenso non possa che incombere sul professionista attesa la
natura contrattuale del rapporto che lega quest’ultimo al paziente.
Questo è il principio di diritto stabilito dalla Corte di
Cassazione con la sentenza richiamata.
Il consenso informato, pertanto, deve essere:
·
Personale:
ossia prestato unicamente dal paziente
interessato, salvo nei casi di incapacità.
·
Specifico ed esplicito, reale ed effettivo, NON PRESUNTO O GENERICO;
·
Attuale, quando
possibile.
Avv. Elviro Raimondi